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L'essenza del Natale
MVSA
Palazzo Sassi de' Lavizzari Via Maurizio Quadrio 27 23100 Sondrio

L'essenza del Natale

Mercoledì 7 dicembre 2022 a Palazzo Sassi de’Lavizzari, sede di MVSA – Museo Valtellinese di Storia e Arte alle ore 17:30 viene inaugurata la mostra "L’essenza del Natale – Giovanni Bellini a Sondrio".

Nella bellissima stüa del Palazzo verrà esposta la straordinaria opera di Bellini, Madonna col Bambino, tempera su tavola di pioppo datata al 1455 circa, in prestito dai Musei Civici del Comune di Pavia.

 

Giovanni Bellini viene considerato uno degli esponenti più importanti della pittura quattrocentesca a Venezia e, insieme al cognato Andrea Mantegna, uno dei più significativi pittori di tutta l’Italia Settentrionale. Nell’opera la Madonna, a mezzo busto, dagli occhi socchiusi e allungati, abbraccia teneramente un paffuto Gesù Bambino ritto in piedi sul davanzale, al centro del quale è dipinta, in un cartiglio, la firma "IOANNES BELLINVS P".

 

MADONNA COL BAMBINO

La Madonna, a mezzo busto, dagli occhi socchiusi e allungati, abbraccia teneramente un paffuto Gesù Bambino ritto in piedi sul davanzale, al centro del quale è dipinta, in un cartiglio, la firma "IOANNES BELLINVS P"; la mano sinistra della Vergine è delicatamente adagiata su di un piccolo volume rivolto verso lo spettatore.

Le due figure, dagli incarnati chiari e dalle vesti rosso acceso, risaltano ed emergono da un fondo scuro, drappeggiato, vivacizzato unicamente dalla presenza di una bordura damascata e da una fila di perle intersecanti l'aureola della Madonna, che cela superiormente un cielo azzurro velato da nubi.

Il volto della Vergine, dalla canna nasale e dalle guance spigolose, è incorniciato da un breve velo bianco pieghettato che fuoriesce da sotto il manto cupo bordato da una fascia con motivi decorativi dipinti a oro, presente anche sui risvolti delle maniche. I panneggi della veste del piccolo Gesù e del velo della Vergine, aderente al viso, risultano "scheggiati e accartocciati", il modellato è un po' legnoso, delicato e riuscito il sottilissimo tratteggio che modella le superfici. Utilizzando semplicemente colore e luce, senza far ricorso alle architetture in prospettiva, né alle sfumature 'leonardesche', Bellini riesce a creare un effetto di spazialità profonda.

Dai cataloghi manoscritti delle raccolte di Luigi Malaspina di Sannazzaro (Pavia 1754-Milano 1835) si desume che la tavola, acquistata dal marchese prima del 1832, era in origine custodita in casa Manin a Venezia. Il nobile pavese, dilettante d'architettura, tra il 1820 e il 1835 progetta lo Stabilimento di Belle Arti Malaspina, in piazza Petrarca inaugurato il 12 giugno 1838 che darà vita aal primo museo del Comune di Pavia. Trafugata nella notte tra il 10 e l'11 maggio 1970 ,l'opera nel 1974 viene recuperata priva di cornice dal Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e restituito ai musei pavesi nel medesimo anno. Dal 1980 è esposto nel castello visconteo nella sezione della Pinacoteca Malaspina.

Il dipinto ritenuto un originale di Giovanni Bellini, viene in seguito fatto oggetto di riserve in merito all'autografia, nonostante la presenza dell'iscrizione "IOANNES BELLINVS P" dipinta sul cartiglio al centro del davanzale.

Nel lungo elenco di studiosi che si sono occupati del dipinto, gli assertori dell'autografia sono però la grande maggioranza: la tavola è infatti datata al periodo giovanile, riconoscendovi i modi della pittura del padre Jacopo, dei Vivarini e di Mantegna. A confermare l'ipotesi attributiva a Bellini depongono, in particolare, elementi stilistici mutuati dalla cultura tardo gotica paterna, specialmente nella colorazione scura del fondo, e influssi mantegneschi evidenti sia nei panneggi "scheggiati e accartocciati" della veste del Gesù Bambino che nel velo della Vergine aderente al viso.  I dati stilistici farebbero quindi propendere per una cronologia attorno al 1445

"Nelle illustrazioni del primo codice l'influenza mantegnesca non pare infatti ancora pienamente assimilata, mentre sono presenti reminiscenze tardogotiche alla Jacopo Bellini. Nel secondo manoscritto i colori si fanno più lucenti e brillanti e l'influsso del Mantegna pare già elaborato. Si potrebbe perciò confermare una cronologia oscillante attorno al 1455" - Francesco Mori

Alcune perplessità, desta la natura posticcia del drappo semicircolare che conclude superiormente il dipinto: la piattezza della campitura nera che, inoltre, presenta una crettatura diversa, la diversità dei motivi dipinti a oro sui risvolti della tendaggio rispetto a quelli presenti nei bordi delle maniche e sul velo della Vergine, sembrano confermare questo sospetto. L'intervento potrebbe essere stato realizzato per mascherare le tracce dovuta all'asportazione di una perduta centinatura.

 

GIOVANNI BELLINI - (Venezia, 1430 circa / Venezia, 29 novembre 1516)

Giovanni Bellini detto il Giambellino viene considerato uno degli esponenti più importanti della pittura quattrocentesca a Venezia e, insieme al cognato Andrea Mantegna, uno dei più significativi pittori di tutta l’Italia Settentrionale.

Fu inventore, insieme a Antonello da Messina, di un nuovo modo di dipingere, sia sul piano formale che iconografico. Viene definito “pittore sperimentale” (FORTI GRAZZINI, 1988) poiché cercò di perfezionare, e in alcuni casi rivoluzionare, il suo stile nel corso della sua carriera, consolidando i risultati raggiunti e facendone la base per ulteriori avventure formali, crescendo con estrema continuità e coerenza.

La sua educazione si svolse a Venezia: allievo del padre Jacopo ne riprendeva lo stile, studiando anche esempi di Antonio Vivarini, formandosi quindi in ambito tardo-gotico temperato da intenti protoclassici.

Dall’eleganza di questo clima raffinato e astratto lo distolse l’incontro con Andrea Mantegna, divenuto intimo del Bellini al punto da sposare, nel 1453, la sorella Nicolosia.

L’influsso degli ideali umanistici del Mantegna appare bene evidente: la figura umana ben definita plasticamente, quasi scolpita in una materia dura e tagliente; il paesaggio aspro e scheggiato che Giovanni rielaborò a suo modo. Si nota infatti che Bellini abolì l’enfasi mantegnesca per l’archeologia, sostituendovi il gusto personale per la natura e il paesaggio; rivalutò il colore che Mantegna invece subordinava al disegno e sviluppò, rispetto alle ambientazioni chiuse e definite in forma cristallina del cognato, aperture verso uno spazio illimitato, tendenzialmente infinito.

Altri due incontri furono fondamentali per l’arte del Bellini: quello con Piero della Francesca e quello con Antonello da Messina. Come è stato documentato dalla critica, durante un viaggio nelle Marche, Giovanni approdò nella capitale di Montefeltro, proprio negli anni in cui Piero accendeva di luce fiamminga i volumi geometrici delle figure e le architetture in prospettiva. L’opera che meglio racconta questo incontro è sicuramente la Pala di Pesaro del 1470/1473.

Numerose ricerche sono state realizzate per tentare di approfondire l’incontro tra Antonello e Giovanni, avvenuto quando il messinese era residente a Venezia tra il 1475 e il 1476.

Per gli studiosi questo incontro permise al Bellini di potenziare le sue doti di paesaggista, facendolo diventare il più straordinario pittore di paesaggi dell’Italia quattrocentesca. Solo nelle opere di Antonello o dei lombardi si trova qualcosa di accostabile ai fondali belliniani, ma non certo brani paragonabili per grandiosità di concezione, in quando nei suoi paesaggi si nota un senso divino della natura in cui è evidente il desiderio di rappresentare un rapporto armonioso tra l’uomo e il creato. Al centro di questo intricato incontro vi è la Pala di San Giobbe, per la quale gli studiosi sembrano accettare una datazione verso il 1487 e la considerano il vero atto di nascita del classicismo veneziano.

Tra gli ultimi lavori di Bellini vi è il Festino degli dei, eseguito nel 1514 per ornare lo studiolo del duca di Ferrara Alfonso I d’Este. Quest’opera segna il simbolico passaggio tra due epoche: l’allegra brigata è dipinta da Giovanni, mentre le colline e gli alberi scuri sullo sfondo furono dipinti dal più brillante dei suoi allievi, Tiziano Vecellio.

Il 29 novembre 1516 lo storico Marin Sanudo annotava nei suoi diari “Se intese, questa matina esser morto Zuan Belin optimo pytor, havia anni … la cui fama è nota per il il mondo, et cussì vecchio come l’era, dipenzeva per excellentia”.

Quando
07 dicembre 2022 - 08 gennaio 2023
Dal martedì alla domenica, dalle 10:00 alle 13:00 alle 14:00 alle 18:00
Dove
 
 

Palazzo Sassi de' Lavizzari
Via Maurizio Quadrio 27
23100 Sondrio

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