Canto VI - Sordello
Il canto si apre con la similitudine tra i giocatori del gioco della zara e Dante che, nella folla dei negligenti, è attirato ora da uno spirito ora dallaltro. Dopo lelenco delle anime che il poeta vede e riconosce (Benincasa da Laterina, Guccio dei Tarlati, Federigo Novello, Gano Scornigiani, Orso degli Alberti, Pier da la Broccia), egli manifesta a Virgilio il dubbio circa leffettiva efficacia delle preghiere dei vivi a favore delle anime dei penitenti. Sciolto il dubbio, lattenzione di Dante è indirizzata dallo stesso Virgilio su unanima solitaria. Si tratta del poeta Sordello vissuto nella seconda metà del Duecento tra lItalia e la Provenza e autore di testi in lingua doc. Lincontro con questanima dà loccasione a Dante per una lunga digressione, che occupa tutta la seconda parte del canto, circa la situazione politica dellItalia: ne esce tracciato un quadro fosco e cupo, in cui la penisola appare abbandonata a se stessa, priva di una guida temporale, percorsa in ogni parte da conflitti tra fazioni. La tirata polemica colpisce in ultimo proprio Firenze, cui Dante si rivolge con sferzante ironia, accusando la patria di essere avida, irrispettosa delle leggi e sconsiderata.
[...] e l dolce duca incominciava
«Mantua...», e lombra, tutta in sé romita,
surse ver lui del loco ove pria stava,
dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!»; e lun laltro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Purgatorio, Canto VI, vv 71-78