La serata teatrale nell'ottocento

Degli spettacoli andati in scena nei primi trentacinque anni rimane testimonianza solo nelle locandine, negli inviti e nei manifesti conservati in parte nel fondo Teatro Sociale presso la Biblioteca Civica Pio Rajna e in parte nel fondo Emilio Quadrio presso l’Archivio di Stato di Sondrio. Oltre che offrire qualche titolo, questi documenti permettono di ricostruire alcuni tratti tipici del mondo teatrale ottocentesco.

La serata teatrale era ben diversa da com’è oggi. La sala era sempre illuminata e gli spettatori (soprattutto nei palchi) si dedicavano a varie attività: accoglievano ospiti, giocavano d’azzardo, discutevano d’affari e, protetti dai tendaggi, perseguivano incontri amorosi. L’azione sul palcoscenico era solo uno dei tanti stimoli, per questo motivo era importante per gli attori catturare e mantenere l’attenzione del pubblico, senza annoiarlo: l’opera lirica ben si adattava allo scopo, soprattutto nei momenti di maggior tensione. L’incremento di intensità a cui la musica va incontro in questo periodo, di cui è protagonista Gioacchino Rossini che irrobustisce l’orchestra e dinamizza le melodie, è anche legato al tentativo di superare il rumorio onnipresente nella sala e di attirare l’attenzione dello spettatore.

Sondrio, a differenza delle grandi città che avevano teatri dedicati specificatamente alla lirica o alla prosa, accoglieva sullo stesso palco opere in musica e testi drammatici, spesso sovrapponendoli e alternandoli anche nella stessa serata.  

Accanto alle sere ordinarie era comune assistere a beneficiate e serate d’onore (un’istituzione che è sopravvissuta fino a oltre il 1950): si trattava di serate speciali, assicurate per contratto agli artisti lirici e di prosa, fuori abbonamento, il cui incasso era destinato tutto o in parte all’artista beneficiato, a cui il pubblico poteva offrire anche doni, omaggi floreali e poesie (di cui si trovano vari esempi tra i documenti conservati negli archivi).

Per assicurarsi gli applausi del pubblico il beneficiato sceglieva dal suo repertorio il testo (o i testi) più adatti a mettere in luce la sua bravura; poteva scegliere arie e brani da eseguirsi come intermezzo allo spettacolo principale e addirittura sostituire un’aria con una di un’altra opera o inserirle all’interno di una farsa o un testo drammatico. Il risultato era una serata assai articolata, e l’alternarsi di brani associati al lavoro principale (non a caso si parla di “spettacolo pot-pourri”) contribuiva anche a ravvivare l’interesse dello spettatore, a cui era in questo modo garantito ogni volta un intrattenimento diverso.

In occasione di beneficiate e serate d’onore, venivano distribuiti volantini e inviti con un’impostazione fissa: l’attore si rivolgeva al «colto pubblico» e all’«inclita guarnigione», appellandosi alla loro generosità e presentandosi come loro «umile servo», dichiarazione non troppo distante dalla realtà visto che, come riportano gli storici del teatro, lo spettatore, soprattutto il ricco palchettista, considerava gli attori alla stregua di una truppa di servitori specializzati.