La stampa locale e il teatro

Il secondo Ottocento è un periodo d’oro per il Teatro Sociale. Dopo un’occupazione militare nel periodo risorgimentale, la sala riapre i battenti a numerose compagnie, anche di alto livello, riuscendo ad offrire al pubblico almeno una stagione drammatica e una lirica all’anno.

Con il passaggio dal dominio asburgico al Regno d’Italia i manifesti e gli inviti conservati negli archivi cominciano a farsi più rari, ma la loro assenza è compensata dai primi articoli di critica teatrale che si fanno strada sulle pagine dei primi periodici valtellinesi (in particolare «La Valtellina», 1861-1925, 1945-1947; «Lo Stelvio», 1867-1873; «Il Corriere della Valtellina», 1896-1994). Le recensioni degli spettacoli al Sociale e i commenti sugli spettatori definiscono l’immagine di un pubblico sempre più esperto e colto dell’arte teatrale, in grado di esprimere giudizi attenti e in linea con le maggiori piazze italiane (anzi, a volte addirittura più lucidi e sinceri):
 

«Il nostro pubblico nel festeggiare gli artisti nei momenti più felici e coi propri applausi alle scene migliori delle varie produzioni, ha provato, una volta ancora, come sappia ben apprezzare gli uni e le altre, e come s’inganni a partito chi crede che all’infuori degli sfaccendati frequentatori del lastricato della Galleria di Milano, il pubblico di provincia sia composto di tanti biettoloni ai quali bastano quattro pistolotti, o l’esposizione di qualche gamba, per farli andare in visibilio! […] Il Ghislanzoni, che d’arte e d’artisti se ne intendeva un pochino, ci ha più volte osservato come il pubblico dei piccoli centri, e fra questi accennava sempre al nostro, è spesso miglior giudice dei cosidetti grandi pubblici; in quanto è meno adulterato dalla claque che invade i teatri, meno incretinito dalla così detta alta critica e meno fuorviato dalle adulazioni e dalle diffamazioni di certi minossi artistici, che pullulano nelle capitali più o meno morali e che vivono alle spalle degli artisti, servendosi del giornale, come gli orbi dell’organetto, per dissimulare l’accattonaggio».

da un commento su «La Valtellina» sulle recite della Compagnia De Farro, 27 ottobre 1894.
 

Si riconosce anche un cambio di gusto nel pubblico sondriese: diminuisce la passione per i drammi spettacolosi e ci si apre alla novità del “dramma borghese” dei più grandi drammaturghi europei e italiani (Paolo Ferrai, Marco Praga, Felice Cavallotti, Henrik Ibsen...), sebbene rimanga un forte apprezzamento per le commedie brillanti di gusto francese (sulla scia delle opere di Eugene Scribe e Victorien Sardou).

Un punto fermo che si riscontra in vari articoli è la polemica contro doppi sensi e allusioni cui troppo spesso gli attori comici fanno affidamento per far ridere il pubblico. I recensori locali insistono sull’importanza del far ridere senza cadere nel volgare: a subire maggiormente gli attacchi è la maschera di Meneghino, che nel secondo Ottocento vede diminuire il suo successo sul palco del Sociale.
 

«Conosciamo le esigenze della Domenica ed i misteri del cartellone. Però il pubblico non ama né i cadaveri della Clotilde di Vallery né le troppo frequenti comparse del Meneghino. Fra gli uni e le altre c’è larghezza da scegliere. Piuttosto ci presenti qualche buona e classica tragedia, dove il talento dell’autore faccia tollerare l’atrocità dell’azione, e dove possano trovare adatto campo i suoi mezzi artistici».

da un invito su «La Valtellina» alla Compagnia Guinzoni-Capella di rivedere il repertorio, 29 marzo 1862.
 

«Questo prodotto esotico importato dalle fredde regioni della penisola scandinava sia il benvenuto tra noi: gioverà, io credo, a ricondurre l’arte drammatica a quell’ufficio educativo e veramente moralizzatore, da cui fu distratta per opera di tanti guastamestieri, che fanno consistere i loro meriti nel sciorinare una serie di lazzi, di parole a doppio senso, di racconti prodigiosi e inverosimili, diluiti in un mare di frasi fatte e luoghi comuni».

da un commento su «La Valtellina» a “Spettri” di Ibsen, portato in scena dalla compagnia Grisanti-Micheluzzi, 17 dicembre 1892.
 

Sondrio diventa in pochi decenni una piazza degna di nota proprio per i suoi spettatori, più volte definiti colti e in grado di apprezzare l’arte teatrale, nonché generosi nei confronti dei comici. Se pure si trovino raramente nelle cronache locali i nomi dei maggiori attori del tempo, nel corso dell’Ottocento il Sociale, sebbene isolato, entra comunque nel giro di capocomici anche di grande notorietà.