Il sociale nel primo novecento

Gli ultimi anni del XIX secolo e il primo decennio del successivo portano in Valtellina i primi brividi della “febbre moderna”: nel 1885 venne inaugurata la ferrovia Colico-Sondrio (prolungata fino a Tirano nel 1902) che apriva la Valtellina al resto d’Italia e che fu celebrata a Sondrio con festosi eventi, tra cui la messa in scena al Sociale del Faust di Charles Gounod; si diffusero la luce elettrica e la rete telefonica; si cominciò a puntare sul turismo.
La Belle Époque si manifesta a Sondrio nel turbinio di balli, nei veglioni, nei concerti e nelle prime proiezioni cinematografiche, a cui anche il Sociale deve aprirsi per sopravvivere alla nascita di nuovi svaghi moderni.

Tutti questi cambiamenti, comunque, interessarono solo le classi più agiate. La Valtellina rimaneva una terra in larga prevalenza rurale e nell’attività agricola era impegnata la maggior parte della popolazione. La realtà valtellinese di quegli anni era quindi ben distinta in un ceto borghese urbano, in ascesa, e una maggioranza contadina le cui condizioni economiche erano ancora stagnanti o di progressiva povertà

Il Sociale vede passare sul suo palco famose compagnie dialettali venete e milanesi (tra cui una breve permanenza del famoso Edoardo Ferravilla), alternate a compagnie che mettono in scena i nuovi drammi di Giuseppe Giacosa, Gerolamo Rovetta e Luigi Pirandello. I giornali, tuttavia, riportano della defezione del pubblico che tende a preferire diversi divertimenti o spettacoli meno impegnati.

Con gli anni Dieci si riscontra sui periodici locali una diminuzione nel numero di articoli dedicati al teatro, complice forse una modesta durata dei soggiorni delle compagnie. Un duro colpo è dato al teatro dalla Prima Guerra Mondiale, che costringe la sala a lunghi periodi di chiusura (salvo qualche proiezione cinematografica ed esibizioni dilettantesche). I recensori, comunque, insistono sul valore culturale del teatro, perlomeno quando presenta spettacoli artisticamente di valore:

«Allora vi erano in Sondrio persone che avevano una inclinazione, una passione spiccata per la drammatica e dietro a loro venivano altri elementi che si manifestavano per buoni: si componevano compagnie di dilettanti e si davano al pubblico rappresentazioni geniali, divertenti, decorose; né il pubblico allora si accontentava, di sborsare il puro costo del biglietto. Oggidì il pubblico, la sua attenzione, è attratta sopra altro che non il teatro: dalle Società commerciali alle economiche, alle sociali, con le loro suddivisioni a gruppi, lo sport, ecc., ecc. È sparito l’elemento vecchio e giovane appassionato per il teatro, e non c’è chi non lo riveli».

dal commento di un palchettista su «Il Corriere della Valtellina» sulla crisi del teatro, 7 giugno 1906.
 

«In questa occasione abbiamo avuto la conferma di una desolante verità, che, cioè, in generale si grida, si lamenta la chiusura del teatro, la nessuna possibilità di avere di tanto in tanto degli svaghi, e quando questi ci sono si preferisce andare all’osteria o a letto. L’apertura del Teatro richiede spese abbastanza sensibili che dovrebbero in gran parte essere compensate dal pubblico, non essendo giusto che ai soli palchettisti spetti l’onere dei divertimenti per il paese: e se pensiamo che, astraendo gli abbonati, la Compagnia drammatica ha avuto alcune sere un margine di poche lire di utili, ci dobbiamo chiedere seriamente se per l’avvenire non convenga affidare il nostro Teatro ai cinematografi od alle Compagnie di marionette che attirano sempre gran pubblico».

da un commento su «La Valtellina» sulla defezione degli spettatori, 14 novembre 1908.
 

«Continuano le recite le quali confermano il valore della Compagnia, se non il favore del pubblico, il quale per un inesplicabile quanto deplorevole fenomeno continua a mantenersi troppo assente. Sarà effetto del momento psicologico e della degenerazione dei gusti intellettuali, giacché oggi il gran pubblico si commuove assai di più per una partita di box che per la rappresentazione di un capolavoro d’arte. È un fenomeno questo che si verifica a Sondrio… come a Milano, ove pure i teatri di prosa sono disertati per le ragioni che le platee vogliono emozioni forti e d’altro genere… anche di carattere non troppo spirituali e degne. Ma occorre combattere questo stato d’animo e pensare che la solidarietà sociale e patriottica si deve manifestare non solo approvando le manifestazioni sportive, ma altresì quelle più elette dell’arte. Bisogna pensare che vi è della gente che fa dell’arte per mangiare e che è un dovere assistere agli spettacoli artistici perché l’arte non decada in Italia, giacché, decadendo, decade tutto il resto, non escluso il senso morale se si considera la forza sommamente educativa ed istruttiva degli spettacoli di prosa, ispirati dalle più nobili passioni e dalla sete di ricerca della verità, nel complesso e mai abbastanza compreso dramma sociale».

da un commento su «La Valtellina» sulla decadenza del gusto del pubblico, 20 ottobre 1923
 

Il nuovo secolo porta con sé cambiamenti anche nei manifesti teatrali. Se nell’Ottocento non era raro incontrare precisi riassunti di trama e digressioni di vario genere, nel Novecento le informazioni si fanno più semplici e dirette: spesso vi si legge l’elenco di attori e personaggi e il prezzo, mentre il rimando alla novità del testo (un aspetto ancora di grande importanza) non è più espresso con lunghe perifrasi poetiche ma semplicemente a grandi lettere con espressioni semplici e ad effetto quali: «Ultimo grande successo del teatro francese», «Mai rappresentata a Sondrio», arrivando anche al semplice «Nuovissimo».

Sebbene i grandi capolavori della drammaturgia italiana, soprattutto se portati in scena da una compagnia di comprovato valore, riescano ancora ad ottenere gli applausi del pubblico, il gusto preponderante continua a essere quello per le commediole brillanti poco impegnate (nonostante le riserve da parte della critica, al Sociale vanno in scena molti testi comici di origine francese).