Il centenario e il futuro del sociale

«Quando ancora serva l’Italia / Rifugiava in sogni di musica / L’anela anima sua / Questo teatro si apriva / Con la nota del cigno pesarese / Iniziando le liete fortune / Che innovano gli anni di Sondrio / Gli aprili dell’arte immortale»

epigrafe del poeta valtellinese Giovanni Bertacchi incisa su una lapide commemorativa del centenario del Teatro Sociale
 

Pur dovendo fronteggiare una situazione di crisi, sia economica che culturale, i festeggiamenti per il centenario del Teatro Sociale spingono la direzione a realizzare un programma degno dell’occasione, una commemorazione delle glorie del teatro a cui si accompagna l’esaltazione della patria.

Le celebrazioni, tenute tra aprile e maggio prevedono una stagione d’opera in cui si alternano La Bohème di Puccini e Un ballo in maschera di Verdi, interpretate da professionisti in un teatro tirato a lucido. In apertura e in chiusura della stagione è suonata una sinfonia dal Barbiere di Siviglia, in memoria dell’inaugurazione. A concludere i festeggiamenti è un concerto di Teresina Tua, moglie di Emilio Quadrio e famosa violinista, accompagnata da trenta dei suoi migliori studenti dal Conservatorio di Milano.

Gli allestimenti per il centenario sono commentati dalla stampa locale con passione e orgoglio. Nel ricordo delle passate glorie, i recensori sembrano dimenticare, infervorati dallo spirito patriottico, che il Sociale nacque sotto la spinta culturale del governo austriaco, sebbene ora quest’ultimo sia visto come lo straniero che sottometteva l’Italia. Ad ogni modo, dalle loro parole ben si comprende l’innegabile importanza che il teatro ebbe per Sondrio.
 

«Dal proscenio il cav. Dott. Romedi rifà con brevi parole la storia del Teatro, costruito dal 1821 al 1823 su progetto del celebre architetto Luigi Canonica e inaugurato nel 1824 col Barbiere di Siviglia del Maestro Rossini. Ne rammenta le vicende tristi e liete e chiude il suo dire accennando al significato che per ogni buon sondriese deve avere questo nostro tempio d’arte, sorto ed inaugurato in tempi di servaggio, quando la voce dell’arte era l’unica che ci rammentasse la nostra unità etnica e spirituale e che oggi a 100 anni di distanza, sotto il regno giusto e libero di Vittorio Emanuele III, riecheggia di quelle melodie stesse che animarono i nostri nonni alla conquista delle politiche di libertà.»

da «Il Corriere della Valtellina», 1° maggio 1924
 

«Il centenario di un Teatro è un avvenimento di primaria importanza per una cittadina come la nostra, ove il Teatro rappresenta tanta parte della sua storia. Cento anni: 1824-1924! Quanto avvenimento racchiudono per Sondrio e la Valtellina già serve come l’Italia dello straniero, ed ora libere e tutte italiane, assieme alle ultime gemme riscattate: Trento, Trieste e Fiume. Cento anni di un teatro inducono a rievocare tutto il dramma della vita locale nelle ultime alternative più potenti della gioia, del dolore, dell’amore, della carità, dell’arte, della poesia, della letteratura! Quanta storia della nostra stessa esistenza troviamo racchiusa tra le pareti di questo tempo artistico, ove adolescenti imparammo a pensare, a commuoverci, ad esaltarci nel pianto e nel riso, e ad elevare lo spirito nelle divine melodie della musica! Se queste pareti potessero dire tutte le emozioni che vi echeggiarono, quanta potenza di poesia e quanti ammaestramenti ne discenderebbero, per convincere coloro che ancora oggi esitano a riconoscere il miracolo di un’Italia forte e rispettata nel mondo, madre di genii e di eroi, come poche terre sanno generare! Celebrando il centenario del suo Teatro, Sondrio rivive perciò la sua storia, e nel godimento dell’arte di Verdi e di Puccini troverà ragione di sentirsi fiera di appartenere a quell’Italia, il cui nome sfolgora e sfolgorerà sempre più ammirato e temuto per la grandezza morale della sua civiltà e per la potenza del genio dei suoi figli migliori.»

da «La Valtellina», 26 aprile 1924
 

Quelli del 1924 sono gli ultimi grandi spettacoli prima del declino. Con l’aumento della pressione fascista, molti giornali locali sono costretti a chiudere o a interrompere le pubblicazioni (la «Valtellina», il più vecchio periodico sondriese, chiude nel 1925 ed è riesumato, per qualche anno, solo nel 1945). In questo periodo al Sociale ha successo soprattutto l’operetta e le rappresentazioni sia drammatiche che musicali sono sottoposte al rigido controllo del regime.

La concorrenza di cinema, radio e nuovi media, a cui si aggiunge l’impossibilità di far fronte alle spese per la gestione dell’edificio che verte in condizioni sempre più disastrose, spinge la Società a vendere il teatro all’imprenditore Celestino Pedretti nel 1940. Quest’ultimo, dopo il periodo bellico, dà inizio alla trasformazione del Sociale nel Cinema-Teatro Pedretti, una moderna sala cinematografica adatta anche allo svolgimento di concerti e rappresentazioni drammatiche, rivoluzionando l’interno della sala eliminando la struttura a palchetti. Nel corso del secondo Novecento alle proiezioni si accompagnano comunque spettacoli lirici e drammatici, almeno fino al 2002, quando l’edificio viene chiuso e cade in uno stato di profondo degrado e abbandono.

È solo nel 2008, nell’ottica di un progetto di riqualificazione delle piazze centrali della città, che si comincia a pensare a una rinascita del teatro. Nel 2013, dopo lunghi anni di restauro, riapre i battenti con il vecchio nome di Teatro Sociale. Per lo spettacolo inaugurale si sceglie quello stesso Barbiere di Siviglia che per primo aveva deliziato il pubblico del 1824.